Quando ero bambina, come altri bambini, la sera mi incantavo a seguire le lucciole. Andavo in campagna, e nei prati, la sera, quegli esserini volavano senza meta o costrutto. Semplicemente, volavano. Qua e là. Tante lucciole, tanti lumini che si avvicendavano, inafferrabili, imprevedibili. All’inizio avrei voluto prenderne qualcuna in mano, ed a volte mi era riuscito. La lucciola mi stava nel palmo racchiuso, sulla pelle avvertivo un leggero solletico, ad indicare la necessità di uscire dal chiuso, il desiderio di svolazzare libera, così come era nata, per una breve stagione, secondo natura. Nel tempo, come altre persone, ho continuato a sognare le lucciole, tanto da confonderle con le lanterne. Cioè. Nella vita comune i sogni restano tali, lucciole. Lanterna invece è uno strumento costruito per espandere luce. Una luce solida, duratura, pragmatica. Non è il sogno, ma l’ideale, la certezza. Di cosa? Di un cammino senza illusioni eccessive, di sogni che nulla hanno a che fare con la realtà, con gli ideali. Il problema è che molte persone non si accontentano delle lanterne, degli ideali, non li apprezzano come dovrebbero. Costruirli è frutto di logica, di sacrificio, di aspirazioni… meglio la lucciola, il sogno. La tragedia succede quando ci si rifiuta, ci si ostina a confondere persone che sono lucciole con quelle che sono lanterne. E si rimane per anni, qualche volta per tutta la vita, schiavi di un sogno, di una lucciola. Un esserino inconsistente, fatuo. Madre natura, nella sua infinita lungimiranza concede le lucciole. Gli esseri umani devono solo contemplarle, tenerle in mano un secondo e lasciarle fuggire. Sono fatte così. Guai a pretendere che le persone fatte come le lucciole, effimere, comprendano, si fermino…le lucciole sono illusioni, una canzoncina volgare in voga quando io ero piccola, parla di loro, lucciole, non donne, corpi per mimare l’atto d’amore. Non viverlo. Uomini e donne, di qualsiasi età, in qualsiasi ruolo, che si comportano come le lucciole, sono fuochi fatui, da tenere lontani. Da inseguire per gioco, la sera, per un attimo, ben sapendo che non hanno niente a che fare con la tua vita.
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