Era bella, un pochino imbronciata, costretta in una posizione seduta…ma era bella. Il pelo di un rossiccio tendente al biondo, al collo un nastrino rosa che sosteneva il ciondolo su cui era impressa la marca di produzione. La migliore, per cui doveva essere molto piacevole toccare, accarezzare, pettinare il mantello della giovane orsetta rossa imbronciata. Ogni volta, dopo le coccole, gli occhi marroni, seminascosti dall’abbondanza del manto, si sarebbero illanguiditi a promettere che, dopo molte manifestazioni d’affetto, l’orsetta rossa avrebbe imparato a sorridere. Il suo compagno era molto diverso da lei. Un orsetto pacioso, grigio e bianco, eternamente sdraiato, con gli arti rilasciati, molto più semplice da stringere ed accarezzare. Suo compagno nel senso che ambedue erano ospiti della stessa scaffalatura nel negozio di giocattoli vari; a guardarli sembrava si tenessero una gran compagnia. Un giorno, nel negozio era entrato un signore, abbastanza maturo. Senza tanti preamboli si era diretto verso la scaffalatura, il prezzo era piuttosto elevato ma egli aveva comprato ambedue gli animali, introdotti di corsa nello stesso sacchetto, di colore rosso acceso. Il signore aveva motivato l’acquisto dicendo che doveva portare un regalo ai suoi nipotini, che era tardi…la commessa però, dal suo modo di fare, aveva intuito che gli orsetti non erano destinati a dei bimbi: fra tutti i peluche quei due, nei giorni in cui erano rimasti con lei, le erano molto piaciuti, ed incartandoli, in cuor suo la ragazza aveva loro augurato un destino felice. Esistono orsetti, si sa, che vivono insieme ai loro padroni per anni, come se fossero animali veri, su cui riversare e da cui ricevere sensazioni di compagnia e di affetto. Ma il cliente era un uomo maturo, un po’ troppo sorridente e quasi imbarazzato. Mah! Usciti dal negozio, appoggiati sul sedile, gli orsetti alla fine del viaggio erano stati recapitati al domicilio di una signora che li aveva accolti con gioia. Erano belli, più di quelli che la donna aveva ricevuto quando era bambina: più morbidi, col nasino rifinito in filo di seta. L’uomo però gliene aveva lasciato uno solo, quello grigio, ed aveva voluto per sé l’orsetta rossa, destinata a ricordargli la signora per cui li aveva acquistati. L’orsetto grigio e la signora avevano salutato l’orsetta rossa con molto rimpianto ed una certa apprensione. Il signore rideva. Mica era un orco! Non avrebbe mangiato l’orsetta, l’avrebbe messa seduta sul comodino e trattata con tutti i riguardi! I mesi passavano e la signora coccolava il suo orsetto, che diventava sempre più pacioccone. Ogni tanto rivedeva l’orsetta rossa, che era sempre imbronciata, poi raccontava all’orsetto che la sua amica se la stava cavando. Forse non era del tutto contenta, ma stava bene. L’orsetto sembrava ascoltare e fiatare di sollievo. Chissà, magari un giorno l’avrebbe rivista! La signora una volta aveva detto al signore che se per caso si fosse stancato di averla con sé, lei sarebbe stata ben lieta che egli le desse l’orsetta rossa, anche in prestito. Niente da fare! Un brutto giorno fra il signore e la signora era intercorsa una discussione, una delle tante purtroppo, molto spiacevole. I due per alcuni giorni non si erano più incontrati. Poi il rapporto era ripreso e la signora aveva chiesto notizie dell’orsetta rossa. Il signore, con estrema tranquillità ed anche una certa soddisfazione, aveva risposto alla donna che l’orsetta rossa non c’era più: la colpa era della signora, che lo aveva fatto arrabbiare. “ L’ho presa, l’ho guardata, era proprio una stupida, con quel suo eterno broncio…troppo altezzosa! Sembrava che mi guardasse, che non volesse, ma tanto non poteva far niente! Le ho sorriso, le ho detto che se lo meritava, l’ho avvolta per bene nel sacchetto color rosso acceso…sì, l’avevo conservato…poi sono uscito di casa e ho buttato la tua preziosa orsetta rossa nel cassonetto, anzi, ce l’ho depositata con tutti i riguardi. Pace all’anima sua!…Oramai l’avranno già triturata…”. “ Ma perché? Me la potevi dare!”. “ Eh, no, cara mia: non potendo buttarci te, ci è finita lei …ma perché te la prendi? Era solo un’orsetta…aspetta…ma sei proprio matta…aspetta…dove vai…sbagli strada!”. La signora non aveva aspettato. In nome di tutti coloro che riescono ad affezionarsi al loro peluche, a voler loro bene, la signora aveva girato le spalle al signore che ancora sbraitava, e quasi correva, via, lontano. Giunta a casa aveva preso in braccio l’orsetto, ignaro, l’aveva coccolato più volte. “Sai la tua amica? L’ho appena rivista, sta bene, ti saluta e mi ha detto di dirti che per lei è come se fosse con te. Di pensarla, lei ti pensa.” Un giorno, passando davanti al negozio in cui erano stati acquistati gli orsetti, la signora aveva rivisto l’orsetta. Proprio identica! Non ci aveva pensato due volte. L’aveva comprata, poi, in ascensore, l’aveva un po’ strapazzata scompigliandole il pelo, perché perdesse l’odore di nuovo. In casa, l’aveva fatta sedere vicino all’orsetto, che sembrava beato. La signora era contenta. Sapeva che quella non era la sua orsetta rossa, ma l’orsetto non poteva saperlo. E poi, non si sa mai, quel signore troppo sorridente non avrebbe potuto gettare nel cassonetto anche quella.
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