La bimba è piccola, non proprio piccolissima ma quasi lo sembra per via dell’abbigliamento, infatti è addobbata come fosse una bambola: è completamente vestita di rosa, di un rosa confetto tenero tenero, e sui capelli porta appuntato un fiocco in tinta, incredibilmente gigantesco. Lei però non ne sembra infastidita, evidentemente è abituata a siffatto ornamento, che, solidamente ancorato con una forcina color miele a folti riccioli d’oro alquanto ribelli, ondeggia tremulo ad ogni movimento della testolina. La bimba trotterella allegramente di fianco alla mamma,mano nella mano, cercando di tenere un passo che, per quanto sorvegliato, risulta comunque troppo lungo per lei. Così la madre si ferma spesso per darle modo di recuperare e la piccola ne approfitta per sbirciare dal basso all’alto quella signora che è la sua mamma. Ne supera di poco il ginocchio e se lei non china la testa, standole vicino al fianco, quasi non riesce a vederle il volto, issato lassù, seminascosto dal protendersi della spalla e dalla prominenza del seno. Allora con la manina le tira insistentemente il braccio finchè la signora non abbassa la testa e la guarda. Riccioli d’oro si sente rassicurata e contempla estatica quel viso ovale incorniciato da morbidi capelli ondulati di un caldo color castano, i bei lineamenti regolari,gli occhi grandi e carezzevoli e la bocca ben disegnata incurvata nel sorriso: com’è bella quella signora, ed è proprio la sua mamma! La piccola riprende a trotterellare e comincia a chiedersi dove la mamma la stia portando quel pomeriggio:le ha fatto indossare il vestitino più bello con il fiocco più grande e pure lei è tutta fasciata da un abito fatto di stoffa piuttosto lucente,verde scuro,con la gonna a campana,e cammina decisa sugli alti tacchi tenendo il braccio libero, piegato e con infilato il manico della borsetta, compostamente appoggiato con la mano a taglio in vita. La via che stanno percorrendo è larga e ben ombreggiata, ci sono poche macchine per lo più parcheggiate, col “bigliettone”che spicca vistoso sul retro. Riccioli d’oro riesce a riconoscere qualche numero e lo sillaba compiaciuta, suscitando l’ilaritàcomplimentosa dei rari passanti, ma all’improvviso il gioco si interrompe, la mamma ha svoltato bruscamente a sinistra, oltrepassano un grande cancello completamente aperto: adesso bisogna guardare attentamente a terra perché il selciato è formato da grossi ciottoli belli rotondi ma molto scivolosi. E così passin passino mamma e figlia arrivano fino ad un grande portone, anch’ esso spalancato, tutto intarsiato in legno scuro scuro, che immette in un grande chiostro. La bimba si osserva intorno, un po’ perplessa.Al centro dell’edificio c’è un bel praticello verde chiaro pieno di fiori, ma tutte quelle grandi finestre arcuate, luccicanti, disposte sui vari piani che circondano i quattro lati del porticato le fanno quasi paura, mentre un’eco misteriosa le rimanda il rumore dei passi cadenzati della donna. In fondo ad un lato del portico la mamma le indica una lunghissima scalinata, di cui dal basso non si riesce ad intravvedere la fine: i gradini, punteggiati con qualche pagliuzza d’argento, sono alquanto consumati e anche molto alti da scavalcare. La bimba, seria seria, si mette a camminare come fosse in montagna, poggiando bene il piedino dietro per darsi la spinta a salire con l’altro, e intanto sbuffa tutta compresa dall’importanza del compito, mentre la mano materna la sorregge vigile affinché non scivoli. Mentre la scala sale il buio aumenta, ci sono alcune minuscole finestrelle ovali quasi attaccate al soffitto, coi vetri lavorati a colori cupi, sembrano dei medaglioni senza luce. Finalmente la scala lentamente gira, la bimba si attacca con la mano libera al corrimano e cerca di arrampicarsi più veloce, in cima si intravvedono la luce ed un pezzetto di cielo. Arrivate al piano tutte e due si fermano un poco a riprendere fiato e la bimba è di nuovo contenta, adesso c’è di nuovo il sole , al posto delle finestre chiuse ci sono tante porte aperte e da dentro le stanze provengono voci, frammiste al ticchettio delle macchine da scrivere. Riccioli d’oro spicca una corsettina veloce fino al muretto contrapposto alle porte, poi si solleva sulle punte dei piedi per guardare oltre, ma non è abbastanza alta, allora la madre con cautela la solleva quel tanto che basta perché lei appoggi le manine sul parapetto con le ditine belle allargate: così la bimba contempla il praticello dall’alto. Le sembra più piccolo ed il verde è meno brillante, ma in compenso anche le finestre sono più piccole e opache, danno l’impressione di dormire tranquille, invece il cielo è limpido, e, guardando oltre i tetti, se ne vedono altri, in mezzo ai quali spiccano alcuni campanili con le grandi campane immobili in mezzo a grosse ruote dentate. Quando la bimba sì è saziata di contemplare l’inusuale panorama comincia a battere i piedini contro il muretto, allora la mamma la rimette a terra e chinando il volto diventato serio, la esorta a comportarsi bene: adesso vedranno delle persone con cui lei lavora tutte le mattine ed anche qualche pomeriggio, quindi è importante non dar loro fastidio. Incuriosita, riccioli d’ora si appresta a varcare per mano alla madre a soglia della porta più grande di tutte. Sopra lo stipite c’è un cartello con una lunga scritta di cui lei non ricorda nessuna lettera, anche perché non riesce a soffermarsi per cercare di indovinare. Ma non chiede nulla e compunta entra in una stanza grandissima, piena di mobili quasi neri e tutti riccioluti, di tavoli e di librerie con grossi volumi tutti eguali, tranne che ogni tanto il colore del dorso cambia: deve stare bene attenta a non inciampare nei tappeti scoloriti che qua e là ricoprono il vecchio pavimento di legno, così, a capo chino, quasi non si accorge che la mamma si è fermata davanti ad una grossa scrivania. Poi sente che dall’altra parte qualcuno saluta con voce garbata e distante mentre la donna risponde con lo stesso tono, così diverso da quello che usa di solito. La madre, invitata a sedersi, si accomoda su una larga seggiola, anche lei tutta riccioluta, e le fa cenno di sedersi su quella vicina, però la seggiola è troppo alta e la mamma, deposta a terra la borsa a bauletto, cinge la bimba alla vita e la mette sulla sedia, ben appoggiata allo schienale, mentre un uomo anziano osserva la scena. Ha un’espressione seria seria, sembra quasi preoccupato per la presenza della bambina, incurante delle parole della madre che si scusa di non averla potuta affidare a qualcuno poiché la convocazione è stata improvvisa; ed insiste nel rassicurare che non si verificherà alcun problema. Quasi a confermare, la bimba rimane composta e guarda bene in faccia quel signore, il quale, più rilassato, accenna ad un sorriso. Allora lei spontanea gli dice: “Ciao “. La madre si appresta tempestivamente a redarguirla per l’inopportuna confidenzialità del saluto ma l’uomo con un benevolo gesto della mano fa capire che non importa e si mette ad interloquire con la donna parlando di cose complicate che riguardano scrutini, commissari interni, date, sostituzioni, orari, problemi di agibilità di aule per la ristrutturazione…La piccola è ammutolita, però si annoia a morte e così comincia ad agitare le gambette ritmicamente, illudendosi di camminare, tanto nessuno le bada, basta che stia ferma e muta. Poi gira il capo curiosando qua e là ed infine si sperde ad osservare il soffitto, tutto pieno di curve e di figure, con angeli dalle ali spiegate e dagli occhi vuoti fissi in avanti, che alla fine non si sa dove volino dato che le finestre sono molto più basse di loro. E così comincia a immaginare che spesso quegli angeli si diano delle grosse zuccate se nessuno li dirige, e ride dentro di sé: finalmente ha trovato qualcosa di divertente cui poter pensare. I due continuano a parlare, si sono alzati e si sono diretti ad un tavolo con tanti fogli sopra, aprono dei registri, tracciano segni con matitoni metà rossi e metà blu, dividono gli incartamenti, sembra proprio che non si ricordino più di lei, che, sparita la testa di quel signore che la madre chiama riverentemente signor preside, vede, esattamente dietro la grande seggiola su cui lui era seduto, la cima di un grosso mappamondo, evidentemente appoggiato a terra. Così quatta quatta si lascia scivolare adagio dalla sedia, aggira il tavolo e si trova davanti al globo più bello che abbia mai visto, un po’ scolorito, ma tanto più imponente di quello piccolino piccolino che la madre si è decisa a comprarle dal cartolaio della via in cui abitano. Il suo è sorretto da un sostegno di plastica bianca, quello invece ha un piedistallo maestoso, tutto di legno e metallo, e la bimba decide di provare a farlo girare, almeno per un po’, mentre un sottile scricchiolio comincia a serpeggiare nell’ambiente. Professoressa e preside si girano di scatto, la piccola, nascosta dal mappamondo, non li può vedere, però capisce dall’improvviso silenzio che per forza si sono accorti che lei non è più sulla seggiola, adesso resta da vedere cosa succede. Però, siccome non è un tipo paziente, non riesce a trattenersi dallo sporgere la testolina per spiarli e così incontra i loro sguardi, proprio buffi: non si capisce se siano arrabbiati o preoccupati e riccioli d’oro decide che è ora di smetterla di fare tutto quello che vogliono loro, così tutta impettita si dirige nella loro direzione. Qualcosa di quella grande casa così stramba non le piace, c’è troppa tristezza in quella stanza; da qualche spezzone di discorso ha afferrato che un tempo quell’edificio era un monastero di clausura, mentre oggi è una scuola. Adesso riccioli d’oro capisce il perché delle finestre cupe e stanche e delle scale tanto usurate. Così si piazza davanti a quel vecchio signore e con una risata argentina alza con grazia un piedino, poi gli dice festosa: “Guarda, guarda le peppe nuove! “. Egli prima rimane stupito, poi si dimentica del suo ruolo e sorride come farebbe un vero nonno, infine ride liberamente, mentre la sua risata profonda echeggia sotto le ampie volte e si propaga nel cortile deserto. Meravigliate, alcune donne si affacciano alla porta e vista la scenetta si mettono a ridere anche loro, una emette una risatina stridula che rimbomba ridicola a coprire le altre. Adesso anche la madre non è più imbarazzata, non deve temere osservazioni del superiore, nè critiche dalle segretarie, e pian piano in quella antica prigione col sole ormai al tramonto quella piccola bimba compie un miracolo; anche gli angeli incollati sul soffitto sembrano chinare lo sguardo, prima perso nel vuoto, su quel cherubino vero saltellante sul pavimento. La bimba continua a ridere felice del sorriso della mamma, del consenso delle altre persone, che l’hanno vista mostrare con allegria le belle scarpette bianche con tanto di farfalline traforate che somigliano al suo fiocco;le guance paffutelle sono abbellite da morbide fossette che si accentuano nel fluire della risata. Però, intanto che tutti quanti sembrano allegri, stranamente, per la prima volta, riccioli d’oro si sente sola, piccolo clown alla corte del re: quella signora non è soltanto la sua mamma, è un’altra persona molto preoccupata per altre cose, non pensa unicamente a lei come aveva finora creduto, e quel finto nonno è un vecchio troppo occupato in faccende che forse non sono così importanti e tutte quelle signore sembrano tante scimmiette… quasi quasi adesso se potesse si aggirerebbe senza paura per tutto quel vasto palazzo antico, dietro quelle strane finestre, per provare a sentire se altre risate sono risuonate lì dentro. Non quelle manierate delle studentesse di oggi, ma altre, più antiche, forse più sincere, ormai dimenticate. Una piccola ruga le solca per un attimo la fresca fronte spaziosa occupata da pensieri troppo grevi per lei , la piccola riprende a pensare alle sue scarpette nuove, a quanti passi potranno sopportare, poi a quanti passi lei dovrà compiere man mano che crescerà, con altre peppe più grandi e magari non sempre così belle, addirittura coi tacchi alti, come quelli su cui fuori di casa caracolla sua madre. La risata le si sta definitivamente spegnendo in gola, ma poi incontra gli occhi della mamma, sono ancora più grandi e luminosi di prima. Sembrano aver intuito l’improvviso disagio della figlia, che li sente straordinariamente vicini e affettuosi, quelli di sempre, a parte i rari momenti di tempesta, spesso fin troppo giustificata. Per fortuna c’è lei, la bimba le corre incontro, le afferra con le manine l’ampia gonna nascondendo la testa dentro le pieghe della stoffa e pensa con sollievo che quella giovane signora è lì, la può toccare e vedere, si rincuora e si rasserena, però qualcosa dentro da adesso le fa intuire che quella presenza, anche imperfetta, è quanto di più bello probabilmente la vita le potrà mai realmente concedere. Il colloquio di lavoro riprende, con tono più confidenziale, e ciascuno ritorna al suo posto. La bimba non ha più voglia di scherzare e siede di fianco alla mamma, zitta zitta, quando tutto è finito questa volta il signore la saluta cordialmente e lei risponde composta: ” Buona sera “. Poi riccioli d’oro ripercorre le scale, il chiostro, esce di nuovoin strada; questa volta non trotterella più, tutta impegnata appoggia con cautela per benino le scarpette sul selciato, cercando di imitare più che può il passo sicuro della madre, senza intralciarne il percorso e senza giocherellare. Guarda soltanto le peppe nuove, decisa a farle durare il più possibile .