Quella sera l’uomo si esprime con occhi sognanti. Parla del suo gommino, di come lo immaginava e di cosa lo avrebbe ricompensato; nel senso che questo gommino gli avrebbe permesso di recuperare il passato e di vivere un presente quindi un futuro sereni. Tutto era iniziato dal momento in cui, seduto su una panchina con vista sul lungomare, l’uomo aveva notato un gommone davvero minuscolo, dotato di motore e di forma rotondeggiante. Si trattava di gommoni in dotazione alle barche ormeggiate all’interno del porto; li si adoperava per accedere a terra col minimo ingombro, poi tornare alla barca. Da lontano sembrava che all’interno della minuscola imbarcazione ci fosse una persona; doveva essere giovane, elastica, per stare là dentro. Guardando meglio se ne vedeva una seconda abbarbicata alla prima. La persona che si trovava in compagnia dell’uomo seduto sulla panchina aveva osservato il tutto con indifferenza, divertita per la forma inusuale del gommone-gommino. Per l’uomo invece si era trattato dell’inizio di un lungo discorso, già iniziato da tempo dentro di sé. Da giovane, l’uomo aveva posseduto una barchetta ormeggiata lungo il torrente che attraversava la cittadina prima di fluire nel mare: il letto del torrente apparteneva al demanio e gli abitanti del luogo erano soliti attraccarvi modeste imbarcazioni. Nel tempo, chi gestiva il noleggio delle moto d’acqua vicinissime al mare, temendo che qualche imbarcazione male ormeggiata potesse danneggiare le moto, aveva ottenuto il divieto all’attracco, quindi l’uomo era rimasto senza barchetta. Aveva continuato a sognare di possederne una, sufficiente per costeggiare senza dover spendere in posti barca; quella sera il gommino gli era sembrato la soluzione ideale. Era piccolo, sgonfiabile, lo si poteva calare nel torrente poi salirci, giungere al mare poco distante e da lì…sognare. Si, perché l’uomo immaginava un gommino da personalizzare a suo piacimento. In poche parole il gommino era solo la base per ciò che egli voleva: molti piani che si originavano l’uno dall’altro, quasi all’infinito. Il gommino era la base da cui, una volta giunto nel mare, l’uomo avrebbe potuto realizzare il suo castello in aria, dotato di tutti i confort che desiderava. Una volta poggiati i piedi sul gommone- gommino, ben seduto con le gambe incrociate sul piano, con la fantasia l’uomo attaccava all’esterno una scaletta che conduceva al secondo piano, più largo del primo, quello reale. Lì era collocata una moto, la stessa che ai tempi l’uomo aveva potuto condurre, sua, tutta sua. Una moto potente, di gran marca, che per l’uomo aveva rappresentato il raggiungimento di uno status symbol ambito. Al terzo piano, una macchina d’epoca, lustra; mai stata sua, ma faceva parte della collezione di macchine simili di un carissimo amico. Al quarto un piccolo escavatore, che ai tempi l’uomo aveva usato e poi dovuto vendere, sempre rimpianto. Al quinto, su un piano sempre più vasto, una strana piscina fatta di scogli, con persone che prendevano il sole senza indumenti. Al sesto una grande cucina, somigliante a quella in cui l’uomo una volta era solito cucinare intere teglie di contenuti vari da recapitare agli amici. Al settimo un letto con le doghe rialzabili per poter far rilassare le gambe. All’ottavo un grandissimo bar frequentato da persone vistose. Era il bar osteggiato dalla gente cosiddetta per bene che abitava nella cittadina. L’uomo ci si era recato ben poche volte anche perché non aveva quattrini; si limitava bello contento a sedersi in disparte contemplando con occhi smarriti tutta la ‘ grazia di dio’ che gli si parava di fronte, cioè belle ragazze poco vestite. Al nono piano lo spazio era libero, c’erano solo festoni e bandiere, quelle con cui l’uomo era solito dare il benvenuto a persone care che, abitando oltreoceano, ogni morte di papa tornavano. Con la fantasia l’uomo è al decimo piano, vuoto. E dal vuoto osserva tutto ciò che è riuscito a costruire fino al nono piano compreso. Ricordi, illusioni, passato. L’uomo si rende conto che per proseguire dal decimo in su non ha materiale, cioè non ha idee: ci vorrebbe tempo, troppo tempo, anche impegno, troppo impegno. Allora la sua mente si avvita come il castello, che sparisce con un semplice ‘puff’. Seduto con la fantasia a gambe incrociate sul piano reale del suo gommino l’uomo rotea sopra se stesso, così rotea anche il gommino, sempre più lento, fino a che la benzina finisce. Sul fare dell’alba qualcuno vede uomo e gommino, fermi. Si avvicina, solleva la testa dell’uomo, che sorride con gli occhi che guardano il vuoto: si era troppo stancato pensando al passato e il presente, vuoto, gli è venuto in aiuto. “Che vita!” Sull’onda del proprio commento l’uomo ha terminato di raccontare il sogno ad occhi aperti alla persona seduta in panchina con lui. La persona vicina commenta “ Aiuto!”… In quel momento l’uomo capisce che quella persona avrebbe potuto far parte del decimo piano, il presente-futuro. Già passato oramai, come tutte le altre occasioni per vivere davvero abbastanza sereno, nonostante rinunce e sconfitte. La persona vicina sorride, pronuncia la frase “ Aiuto, che vita!”, unendo le due esclamazioni. Poi racconta all’uomo seduto in panchina le sue percezioni sul sogno- gommino e sul triste finale; l’uomo si trova anch’egli a sorridere, a ridere. Il gommino nel mare è arrivato alla barca, appiattito contro la sagoma dell’imbarcazione; nel cervello dell’uomo per ora svanisce… Chi sa!?