L’economo, incaricato dell’accampamento, li attendeva seduto nel refettorio, alla luce di una lanterna a petrolio. Sul tavolino aveva una bottiglia di tequila quasi vuota ed un grosso mazzo di chiavi.

L’uomo, che si chiamava Juan, diede il benvenuto a Morelli, e lo accompagnò alla baracca che gli era stata assegnata, mentre l’autista li seguiva portando la valigia.

Giunsero alla stanza numero 7, Juan aprì la porta ed accese la luce elettrica, mostrando a Morelli la sua nuova abitazione, indicandogli l’asciugamani e la saponetta nuova posta sul lavabo. L’autista depose la valigia accanto al letto e chiese il permesso per andare a dormire, Juan fece altrettanto. Lasciato solo, Morelli si guardò intorno alla luce giallastra e tremolante della lampadina da poche candele. In breve aveva ispezionato quell’angusto locale che a partire da quel momento, per mesi o forse anni, avrebbe costituito il suo spazio privato. C’erano un letto ad una piazza, un tavolino di legno con una sedia ed un armadio rustico per riporre i vestiti. Una porticina dava su un bagno privato, privilegio del suo rango, dove si trovavano un lavandino sovrastato da uno specchio, un cesso alla turca di cemento ed una doccia, pure di cemento, nell’angolo. Lo specchio era punteggiato da cacche di mosche. La doccia era costituita da un tubo che terminava senza alcuna rosa. Era tutto quello che il nuovo arrivato si aspettava. Era tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno. Del resto, quella stanzetta gli sarebbe solo servita per dormirvi nei giorni lavorativi e trascorrervi qualche ora diurna soltanto durante i giorni festivi. Si tolse i vestiti impolverati, si lavò la faccia nel lavandino e si buttò sul letto, dove dormì pesantemente fino all’alba.

La mattina seguente, uscendo di buon’ora, Morelli si imbattè in tre asini che sostavano davanti alla porta della baracca. Se ne stavano lì, immobili e grigi, come veicoli parcheggiati la sera prima. Egli non vi fece caso, e si diresse al refettorio per prendere la colazione e fare conoscenza con i nuovi colleghi. Infatti, colà trovò il direttore amministrativo, l’Ingegner Manuel Suarez, che gli dette il benvenuto, gli domandò del viaggio e fece le presentazioni con gli altri. Tutto il personale era messicano, ad eccezione di Giusto Bonfanti, che era italiano, e faceva il capo-minatore in una galleria, chiamata “Accesso 2”.

Finita la colazione, Suarez accompagnò Morelli in auto sul cantiere, per mostrargliene i vari settori. Cominciarono dalla Centrale, un’enorme caverna in fase di scavo, dove avrebbero trovato alloggiamento le turbine idrauliche, i generatori di corrente e le apparecchiature elettriche di controllo. Successivamente passarono all’Accesso 2, un tunnel lungo vari chilometri che avrebbe condotto l’acqua di un bacino fino alle turbine della centrale. L’ Accesso 2 si trovava ad un livello superiore alla centrale, a cui sarebbe stato collegato mediante un pozzo di alcune centinaia di metri. Lo scavo del pozzo era a buon punto, spiegò Suarez.

Per raggiungere l’Accesso 2, non lontano in linea d’aria, dovettero percorrere tre chilometri di una strada molto ripida e dissestata, che per giunta era ancora in fase di costruzione, con scarpate paurosamente instabili, al punto che il rumore dell’automobile su cui viaggiavano bastava a far cadere delle pietre, che a loro volta inducevano piccole frane polverose lungo i fianchi della scarpata pietrosa.

Durante la visita all’Accesso 2, Morelli chiese a Bonfanti informazioni sui lavori di scavo della galleria, ed in base alle risposte ricevute pensò che la produzione si sarebbe potuta raddoppiare facilmente, organizzando meglio il lavoro e migliorando certi procedimenti che si era appuntato su un taccuino. Infatti, le macchine necessarie c’erano, e le caratteristiche della roccia erano favorevoli allo scavo: non troppo dura, ma neanche troppo instabile. Il cantiere era tutto qui, in meno di un’ora lo si poteva girare tutto. Morelli ne aveva visto di più problematici, e si rallegrava già della semplicità tecnica del lavoro che gli era toccato. Era certo che non avrebbe deluso le aspettative riposte in lui dal Direttore del Personale.

Nel giro di presentazioni tutti furono esaurienti e cordiali, e Morelli si sentì soddisfatto anche del personale. L’Ing. Suarez, rivelandosi una persona molto gioviale e cortese, non lesinò le spiegazioni, e confermò a Morelli che il lavoro non presentava alcuna difficoltà tecnica, anche se, d’altro canto, esistevano problemi logistici e di comunicazione che, peraltro, volendo Dio, si sarebbero risolti definitivamente nei prossimi giorni grazie all’installazione del telefono. Per l’esattezza, i tecnici dell’azienda telefonica sarebbero venuti giovedì per completare l’allacciamento, dopodiché il cantiere sarebbe entrato in comunicazione col resto del mondo, o quasi. A conferma dell’imminenza dell’evento, Suarez gli mostrò con orgoglio una stanzetta, sulla cui porta era fissata una targa d’ottone lucidato che diceva: “TELEFONO”. All’interno, vi si trovavano un tavolinetto di legno, una sedia e, appeso ad una parete, un apparecchio nero di bachelite. Sul tavolino c’era una matita legata con lo spago ad una vite infissa nel legno. Nonostante il telefono non funzionasse ancora, la stanzetta era tenuta sotto chiave scrupolosamente, per evitare ogni intrusione indesiderata. Suarez consegnò a Morelli una copia della chiave. Questi, mettendosela in tasca, si sentì onorato da quel gesto di fiducia e rispetto, che gli ricordò l’antico rituale della consegna delle chiavi della città al primo cittadino.

La prima giornata in cantiere passò così, fra presentazioni, domande, risposte, esame di disegni e programmi di lavoro. Dopo cena Morelli, soddisfatto della giornata e ancora sfasato per il cambio di fuso orario, si ritirò in baracca, addormentandosi presto, mentre le immagini delle molte cose nuove appena viste gli sfilavano nella mente in un carosello caotico.

Stava dormendo da appena un’ora, quando un rumore spaventoso, un verso bestiale che sembrava provenire da un serraglio infernale, lo svegliò di soprassalto. Col cuore in gola, impiegò diversi secondi per capire che si trattava del raglio di un asino. Allora indossò i pantaloni, aprì la porta e scorse a pochi metri la sagoma scura della testa con le due grandi orecchie pelose, tenute quasi orizzontali. Incollerito per quella molestia inaspettata, Morelli cercò al suolo un sasso, e, trovatolo con facilità, lo scagliò verso la bestia, che, per tutta risposta, sbruffò, fece alcuni passi ed abbassò la testa per brucare chissà cosa nel suolo polveroso. Allora Morelli cercò altre pietre e le scagliò, finché passo dopo passo riuscì ad allontanare la bestia, poi tornò a dormire. Nel corso di quella notte fu svegliato dai ragli altre quattro volte, ed altrettante si alzò ed uscì a tirare pietre. La quarta volta, nel rientrare, calpestò coi piedi scalzi un monticello di letame fresco, ancora caldo.

La mattina seguente, uscendo di cattivo umore, contò undici asini nello spiazzo delle baracche. Nuovamente fioccarono le pietrate, e gli animali si allontanarono pigramente, scuotendo le orecchie pelose.

Era giovedì, il giorno del telefono.

I tecnici dell’allacciamento non vennero.

Dopo tre giorni l’autista di un camion che portava una fornitura di esplosivo giunse con un messaggio scritto a mano, con il quale l’amministratore regionale dell’azienda telefonica si scusava con Suarez, spiegando che la squadra dei tecnici era stata occupata a risolvere un’emergenza sulla linea di un paese lontano. L’allacciamento sarebbe stato eseguito il prossimo giovedì, Dio permettendo.

Morelli, fin dal primo giorno, aveva osservato che l’edificio degli uffici occupava una depressione nella discarica dei materiali di scavo: tutt’intorno i camion provenienti dalla centrale scaricavano rocce di varia pezzatura, producendo frastuono e polvere.

Al riguardo, consultò Suarez, il quale rispose di non preoccuparsi giacché da tempo era stato previsto di spostare l’edificio in una posizione più elevata, e che, Dio permettendo, in pochi giorni si sarebbero iniziati i lavori. Di fatto, l’agrimensore stava già tracciando le linee degli scavi per le nuove fondamenta.

 

Autore: Franco Garelli