Si chiamava Tobia. Cioè. L’avevo chiamata così. L’avevo incontrata per caso. Era buffa, camminava lentissima in mezzo alla strada. Una stradina tranquilla, laterale. In mezzo ai campi. Poche case, molto verde. Il luogo era vicino all’eremo di S. Caterina del Sasso, sulla riva lombarda del lago Maggiore. Ecco. Mi era sembrata sperduta, sola. Senza meta. Allora avevo deciso di portare la tartaruga con me. Di offrirle una casa. Nei primi tempi l’avevo sistemata in appartamento, e sul balconcino della cucina, ben riparato, le avevo costruito il territorio che a mio parere poteva bastarle. Non sapevo niente di tartarughe, ma ad istinto pensavo che lei, Tobia, magari era un lui, desiderasse uno spazio protetto, col verde. Quindi le avevo organizzato un recinto con terriccio e verdura. All’inizio sembrava bastarle, poi avevo capito che si sentiva in prigione. Il balcone era piccolo, e lei, calcolando dal carapace, era adulta. Voleva ‘viaggiare’. Allora l’avevo portata nella casa di una persona che disponeva di un ampio giardino, completo di orto. Tobia sembrava contenta. Tanto spazio, ed insalatina davvero fresca, a disposizione. Peccato che la padrona di casa tenesse alla sua insalata più che ad ogni altra cosa. Poteva anche dirlo! Invece no. Che è che non è, un giorno mi ero recata nella sua casa. Ricordo che in cucina c’era una pentola, grossa, che borbottava sul fuoco. Anche una bimba, una parente, che teneva premuto il coperchio. Non capivo. Il borbottio della pentola era strano, lamentoso. Poi, solo poi, mi hanno detto che Tobia arrecava fastidio, e che il brodo di tartaruga era ottimo. Ero rimasta senza parole…per anni, avevo conservato il carapace della tartaruga, in memoria. In precedenza, sempre presso quella signora, anche i miei pesci rossi erano stati mangiati dal gatto, che aveva buttato la boccia per terra. Quella volta mi ero un po’ risentita, e mi ero sentita rispondere che i miei due pesci non valevano niente. Avevo taciuto. Tempo dopo ho collegato tutti gli eventi accaduti per mano di un’ altra persona, sempre ben imparentata con la signora. Il cane Ciuffi, addormentato con le pastiglie, poi sistemato con il badile, per punizione. Certo, quel cane aveva sbagliato, ma ci son tanti modi…E la gatta Miù. La mia gatta, ammalata di stomatite. Sistemata anche lei col badile: il veterinario era troppo costoso, troppo il tempo per recarsi da lui. Tobia, Ciuffi, Miù. Mi dispiace. Penso di avere rischiato anche io di finire così. Non avevo capito che razza di gente fosse quella cui mi ero affidata io stessa. Ora, a tratti, tutto riaffiora, e le parole non bastano…
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