Correva l’anno 2002, le ore d’aula del Master in Gestione delle Risorse Umane erano finite e iniziava per me il periodo di stage presso una piccola agenzia di selezione e formazione di personale informatico.

Ero entusiasta, mi trovavo in un ambiente giovane e dinamico, dove potevo esprimere al meglio le mie capacità. Sembrava strano anche a me, mi riusciva così naturale empatizzare con le persone, fare loro i colloqui conoscitivi e sottoporli alla pratica con i tecnici, tanto che, in poco tempo, mi avevano dato carta biancha. C’era solo un piccolo inconveniente: fare avanti e indietro con il treno ed essere legata ai capricci ferrioviari. Così cercai una sistemazione in loco e dopo aver fatto non poche telefonate, trovai un annuncio che faceva al caso mio. Una sera dunque, uscita dall’ufficio che era ubicato nella zona industriale, presi l’autobus per la città, per raggiungere la casa che dovevo vedere per la stanza. Era una sera fredda, piovosa e buia ed io mi ero avvolta nella mia sciarpa preferita, quella a maglia rasata a righe cartazucchero. Chiesi indicazioni all’autista per la fermata e scesi. Ma dove mai era la traversa che cercavo? Gira di qua, gira di là, non riuscivo a trovarla e l’ora dell’appuntamento si avvicinava. E con l’ora dell’appuntamento anche la sensazione di sconforto. Ero in periferia e non sapevo a chi chiedere perchè non c’era nessuno in giro. Fu in quel momento che mi trovai faccia a faccia con una signora il cui sorriso e il cui sguardo mi comunicarono calma e tranquillità. Capelli castani, lievemente ondulati, occhi scuri, sorriso luminoso.

Non feci nemmeno in tempo ad aprire bocca che fu lei a chiedermi se avevo bisogno di qualcosa: la mia aria doveva essere veramente smarrita. Le chiesi dove fosse quella dannata traversa e lei, con una calma a me praticamente sconosciuta, mi disse che era proprio dietro l’angolo e mi indicò con la mano, il punto in cui avrei dovuto svoltare per trovarmi finalmente a meta.

Sorrisi e feci un gran sospiro di sollievo, girandomi per ringraziarla, ma la signora non c’era più. Scomparsa, volatilizzata, sparita in quell’unico secondo che ci vuole a chiudere le palpebre e a girare lo sguardo!

Avevo forse sognato? Dov’era quella signora dallo sguardo caldo e rassicurante? Come era potuta sparire così inaspettatamente, così come altrettanto inaspettatamente era apparsa?

Non lo saprò mai, so solo che voltai l’angolo che mi aveva indicato e trovai la strada che cercavo, arrivai puntuale al mio appuntamento e presi la stanza.

Continuai a pensare a quella signora, e fu per caso che una sera, di ritorno dall’ufficio, sull’autobus, mi sentii toccare una spalla: era lei. I medesimi occhi e il sorriso rassicurante. Le espressi tutta la mia gratitudine per quell’indicazione (dato che la prima volta non avevo avuto tempo nè modo) e la sua unica curiosità fu chiedermi se mi trovavo bene. Scendemmo alla stessa fermata e fu lei a dirmi che abitava proprio lì vicino al palazzo dove stavo io. Facemmo insieme un breve tratto (ero così rilassata, possibile che accanto a quella signora mi sentissi così al sicuro? Avevo la netta sensazione che accanto a lei nulla di brutto mi sarebbe potuto accadere). Attraversammo un portico, mentre lei mi diceva che praticamente era arrivata. Era proprio di fianco a me e io mi voltai per vedere quale fosse il suo portone e chiederle il suo nome.

Non c’era più, anche questa volta si era smaterializzata.

Mille volte sono passata di lì, a mille ore diverse, mille volte ho preso quell’autobus (del resto era quello che mi portava avanti e indietro dall’ufficio). Non l’ho più rivista, non ho mai saputo il suo nome.

Sono passati tanti anni da quel giorno e ora più che mai credo che non fosse una persona, ma semplicemente il mio angelo custode accorso a darmi una mano.

 

Autrice: Silvia Lazzerini