Un altro ricordo

Successe alcuni anni dopo, quando io avevo già incominciato il mio lavoro in ospedale e vivendo ancora nella città delle fabbriche, che dista circa Km.6 dal nosocomio, dovevo essere automunito.

Anzi necessariamente dovevo avere un’auto mia non potendo usare quella di mio padre perché il mio lavoro laboratoristico era soggetto a turni e papà ancora lavorava in una ditta del capoluogo regionale.

Appena diplomato avevo fatto richiesta di assunzione proprio in quell’ospedale e poichè il lavoro in laboratorio comprendeva anche dei notturni il giorno dopo la sortita sarei stato libero di frequentare la facoltà di Medicina e Chirurgia.

Eppoi c’era la comodità dell’auto: non solo per il lavoro, naturalmente.

Allora eravamo una compagnia di cinque ragazzi, quasi coetanei, tra cui due diplomati in ragioneria: Franco, detto uscudett, e Pasquale, detto ramasciott: diplomati sì ma senza una loro auto.

Finalmente fu Franco ad averne una subito dopo aver trovato un impiego in banca.

Così una domenica pomeriggio, all’inizio dell’estate, si presentò al solito bar, nostro punto di ritrovo, con una Fiat 128 nuovissima, ancora odorosa di fabbrica, con tutti i sedili ricoperti di cellofane, come usavano a quei tempi.

Decidemmo di recarci al lago più vicino, tanto per provare l’auto, e Franco prese la superstrada per raggiungerlo solo che, forse per poca esperienza, alla fine della corsia d’accelerazione, si mise subito in careggiata, senza accorgersi del sopraggiungere di un’altra vettura ed il contatto fu inevitabile: per evitare guai peggiori il ragazzo sterzò verso destra, strisciando in pieno tutta quella parte di carrozzeria…morale entrambe le fiancate dell’auto erano da rifare.

Franco fermò subito il mezzo, seguito dal conducente dell’altra auto: questo era un omino di bassa statura, pochissimo folto crinito, in più montava due lenti a fondo di bottiglia che gli davano un aspetto molto orientale ma poi si seppe che era italianissimo.

I quegli anni non era ancora obbligatoria l’assicurazione per gli automezzi, sicché il poveruomo, spaventatissimo, come noi del resto, riusciva solo a biascicare “Socio ACI? Socio Aci?” al che Franco, bianco come un cencio, non comprese, ed esplose in…” Porca miseria, è pure Giapponese! Ed ora?” visto l’aspetto dell’omino: noi quattro ci contorcevamo dalle risate…Franco no. La gita finì subito: i due autisti si scambiarono i rispettivi indirizzi e numeri di telefono, si risalì sulle vetture e si tornò indietro subitaneamente, facendo attenzione a tutti i segnali, semafori, ed ai limiti di velocità.

Il seguito fu di sostenere Franco di fronte alle giustissime richieste di chiarimenti di suo padre: a qualcuno di noi venne in mente di asserire d’aver incontrato due grossi TIR stranieri che, mentre tra loro si stavano sorpassando, con si erano accorti della nostra 128, che viaggiava tranquillamente nella corsia di centro.

Un guidatore dei due mostri era fuggito ma l’altro l’avevamo fermato noi.

Il papà di Franco ci credette, o meglio fece finta, e tutto finì lì.

Poi sapemmo che l’altro conducente, qualche tempo dopo, era andato in banca, guarda caso proprio nella filiale in cui Franco lavorava, per chiedere delle migliorie sul suo conto: poiché non aveva chiesto i danni uscudett lo trattò in guanti di velluto.

Nel maggio dell’anno successivo ci fu piazza della Loggia.