Questo racconto è  di quasi dieci anni orsono. A tutt’oggi, come dodici altri del genere, era rimasto inedito. I racconti traggono origine da un importante tema di fondo  che per ora non esplicito: ritengo sia facilmente intuibile e sempre attuale.

 

 

È la classica giornata in cui sembra che vadano tutte storte, mi sento demotivata, non so perchè, oppure sì. Questo strano lavoro che pure amo molto può dare delle grandi soddisfazioni, cosi come può lasciarti un tremendo senso di vuoto, sia quando non si crea l’empatia con la persona, sia quando vengono soltanto i cosiddetti ladri di polli,  privi di qualsiasi vibrazione, vuoi nel bene che nel male.

Spero nel prossimo ‘cliente’, al telefono ho sentito una voce interessante, calma, di quella calma foriera di grandi imprese, di decisioni basilari: mi ha chiesto l’appuntamento con modi cortesi, direi con rispetto. Ho avvertito che si aspetta grandi cose da me, il che mi stimola: potrebbe essere  l’occasione di uscire un po’ dagli schemi e concludere in bellezza un lungo pomeriggio passato a contatto di individui senza emozioni, trattata come se  fossi la fata ‘trucchina’ mentre loro stanno lì comodi ad aspettare il miracolo.

Il cliente sta ritardando, nell’attesa rimetto in ordine i libri, gli oggetti, senza fretta, è l’ultimo cliente, quindi ho tempo anche dopo il colloquio; mi sto rilassando, meno male che ritarda, ero effettivamente troppo tesa, mentre chi opera in questo settore deve sempre mirare all’autocontrollo.  Come, anzi, affermo e confermo, molto, molto  più di altri operatori addetti ad ascoltare la gente.

Certo che mezz’ora secca, senza avvisare, è un po’ tanto, forse quello non viene… non l’avevo mai sentito prima, forse mi ha tirato il bidone!

Mentre penso così, sento battere, anzi sbattere alla porta col batacchio che io intendevo lasciare infisso a puro scopo ornamentale. Vado di corsa e mi trovo davanti un signore a dir poco elegantissimo; egli accenna ad un leggero inchino e mi chiede di poter entrare.

Io annuisco, gli indico l’appendiabiti, il signore si toglie lo splendido cappotto e rimane in piedi vestito con un inappuntabile spezzato tipo gentiluomo inglese di campagna.

Noto che con la mano destra stringe l’impugnatura di una piccola cartella rigorosamente griffata, e che quando si siede davanti a me la appoggia con attenzione sul tavolo alla sua sinistra…

Riusciamo a scambiare pochissime parole, giusto quelle di circostanza, e non mi sembra che egli abbia intenzione di cambiare atteggiamento;  quindi mi decido a rompere il ghiaccio proprio sulla questione del ritardo eccessivo. Egli  si scusa doppiamente, anche di non averlo fatto subito di sua iniziativa.

“Però, vede, io avevo dei gravi motivi che mi hanno costretto a questo ritardo, mia moglie mi controlla, quindi ho dovuto letteralmente seminarla per strada, come in un racconto poliziesco, guai se si fosse accorta che venivo qui… perciò non ho neppure potuto avvisare che arrivavo dopo, non avevo il suo numero in memoria, ci mancherebbe, e si mi fermavo a comporlo… in più dovevo anche recuperare la ventiquattr’ore… non mi è rimasto che sperare che lei mi aspettasse”.

Nell’enunciare tutte queste frasi egli  non  si scompone per nulla, capisco che è abituato a programmare tutto, anche i ritardi, in fondo sono cose normali. Probabilmente è una persona che ritiene di essere perfetta, quindi il suo comportamento non può che essere ineccepibile… è ovvio.

Mi limito a rispondergli che per fortuna lui era l’ultimo cliente della giornata, altrimenti sarebbe stato spiacevole far aspettare il successivo! Egli condiscende leggermente col capo e ripiombiamo nel silenzio.

Dopo un po’, gli chiedo che tipo di consultazione lui desidera da me. “Vuole sapere qualcosa su qualche argomento che le preme particolarmente?”.

Lui, flemmatico, scandendo le parole, finalmente inizia a parlare.

“No, le carte non mi interessano, neppure il pendolo, neppure l’oroscopo. Con tutto il rispetto, signora, li considero mezzi di ricerca utilissimi e molto validi ma sono qui per un’altra cosa, non voglio un’indagine. Io sono qui per proporle un incarico, e le dirò che vorrei anche decidere alla svelta, così resto più tranquillo io, non si sa mai che mia moglie riesca a rintracciarmi, e lei recupera il tempo perduto. Sono venuto qui perchè mi hanno detto che lei è molto brava e quindi ho pensato che potesse proprio fare al caso mio”.

lo rifletto che senz’altro questa lode sperticata è buttata lì per incentivarmi ad accettare il suo incarico, come ha detto lui, e mi chiedo di che cosa si possa trattare. Intanto, mi sembra giusto, azzardo. “Mi scusi, ma chi le ha riferito il mio nome?” …

… “Signora, non ha la minima importanza, l’importante è che ci mettiamo d’accordo.  Ho visto che lei ha giustamente guardato con attenzione la mia cartella, probabilmente si è anche chiesta perchè non l’ho appoggiata a terra: in effetti qui c’è qualcosa che la riguarda e penso davvero che sia un argomento convincente ….”.

Egli apre con cura la chiusura della valigetta e comincia ad estrarre mazzette di denaro, ed una dopo l’altra me le allinea davanti in bell’ordine sul tavolo. Io rimango un filino allibita, in primis per il fatto in se stesso,  ed in secondo luogo per l’entità della cifra che questo signore s’è portato appresso con tanta disinvoltura: saranno stati all’incirca 50.000 euro.

Mi sembra di assistere ad una scena di quelle che si vedono nei film di mafia, quando si aprono quelle mirabolanti valigette piene di mazzette preferibilmente di dollari; sono soldi sporchi, come comunemente si dice, e nei film vengono sbattuti in scena sempre nei momenti giusti: costituiscono il punto di arrivo o di partenza di un ‘affare’, di sicuro uno dei momenti chiave della vicenda… a questo punto cerco di ragionare con la massima velocità, e sono purtroppo costretta a dedurre che il mio signorile cliente, piazzandomi in bella vista e con tale noncuranza una cifra simile, vuole comprare qualcosa che evidentemente tanto limpido non è.

E’ chiaro che il mio sguardo si è soffermato sui soldi, lo stupore mi ha bloccato un attimo; prima di rialzare gli occhi tiro un respiro, il meno visibilmente possibile, e fisso il mio interlocutore.

Egli mi sembra decisamente contento e sicuro dell’effetto prodotto, perciò finalmente  si esprime in modo fluido e scorrevole, con tono di voce imperioso e al contempo suadente.

“Come lei può ben vedere, cara la mia signora, io ritengo che lei possa ampiamente giustificare sia le motivazioni del mio ritardo che una certa mia reticenza, quando al telefono non le ho chiarito il motivo della mia venuta. Ho ben compreso che lei è rimasta un po’ sconcertata dal mio comportamento con la storia della moglie – segugio e via dicendo, ma adesso può capire il perché: con i tempi che corrono non si va in giro con tanti soldi liquidi se non sì è ben sicuri che si devono spendere subito e bene.

Quindi, in poche parole, le spiego la mia situazione. Mia moglie è una persona a dir poco spregevole, la nostra vita matrimoniale è un inferno. Certo, come si conviene a gente per bene, abbiamo mascherato, o meglio, ho mascherato il più possibile questo dramma familiare: sa com’è, il mondo è piccolo, io sono un proprietario terriero alla vecchia maniera, viviamo in campagna, riceviamo gli amici a scadenze fisse. Per il resto del tempo, a parte gli impegni per l’allevamento dei cavalli da maneggio e per la struttura agrituristica, che, ripeto, io da solo, visto che mia moglie è una donna con poco senso pratico, ho creato e reso in grado di produrre alla grande, viviamo isolati. Così quasi nessuno, a parte gente fidata, ha potuto assistere alle nostre serate fatte di diverbi e anche di parecchie altre cose di poco buon gusto.

Insomma la faccenda non è di dominio pubblico, peraltro mia moglie invece di capire che io ho sempre agito per il suo bene, visto che lei non è in grado di condursi, nè di condurre alcunchè, una volta in cui non ne ho proprio potuto più e ho dovuto, insomma, non mi sono trattenuto dal suonargliele di santa ragione, più del solito, la cretina ha avuto la bella  idea di sporgere denuncia ai carabinieri!!

Pensi lei, mi trovo a che fare con una ‘signora’, perchè la casa e i terreni appartengono a lei, unica figlia di due genitori anche più incapaci, solo degli inetti, tanto  che avevano ostacolato più che potevano il mio matrimonio, temendo che la loro preziosissima figlia non si trovasse bene con me! E quando tento di far capire a sua signoria come funziona il mondo, lei mi si ribella, reclama la sua indipendenza, progetta di uscire da quella splendida casa che io le ho risistemato alla perfezione, dichiara che vuole disporre dei ‘suoi’ soldi!!

Ma quali soldi, che se non ci fossi stato io probabilmente sarebbe finita sul lastrico! E in più non mi ha neanche dato uno straccio di figlio, neppure una femmina è stata in grado di fare!

Quindi io, senza alcuna la speranza di avere poi chi riesca ad apprezzare i miei sforzi, di essermi grato per quello che faccio, ho deciso che è ora di definire la situazione: mia moglie deve morire e io devo ereditare quei soldi che in realtà sono miei, infatti lei  di certo non li meritava.

La vita è una soltanto, e anch’io ormai ho diritto di godermela, anzichè accudire una moglie sterile e incapace, gelosa e possessiva, quindi le affido l’incarico di ucciderla”.

Egli tace… Fatalmente il mio stupore, prima statico e passivo,  nel giro di un attimo si trasforma  in un sentimento ben diverso: provo l’impulso terribile di alzarmi e di piantare in asso su due piedi questo Barbablù del 2000, poi altrettanto rapidamente mi controllo e mi ascolto parlare mentre gli rispondo, perfino pacata.

“Mi scusi, sono un pochino frastornata, sa, non è che tutti i giorni mi capitino proposte di questo tipo, ma forse non le converrebbe, se ha deciso così, assoldare un killer? Basta leggere i giornali per capire che di tipi senza troppi scrupoli ne può trovare a bizzeffe, ad un prezzo senz’altro minore di quello che lei intende sborsare per me!”.

Mentre dico queste parole mi sento proprio umiliata. Io che davvero svolgo questo lavoro per aiutare la gente a levarsi  problemi, dovrei ammazzare qualcuno?!…

E siccome voglio che egli parli ancora, che mi motivi meglio questa scelleratezza,  continuo a restare  calma.

Barbablù insiste: “Ma signora bella… forse lei non ha ben capito, quella disgraziata di mia moglie ha avuto, le ripeto, il pessimo gusto di denunciarmi ai carabinieri per quattro schiaffoni. Se morisse di coltello o sparata, io potrei essere il primo indiziato, non le pare? Invece, se lei è davvero una brava maga, lei mi inventa una fatturina, una cosetta, quel che gradisce… lo spillino, il ritualino, quattro candeline, due erbette, un incensino, qualche formuletta, insomma adoperi la ricetta che le pare e me la faccia morire  di morte naturale. Un bel cancro veloce veloce, che so io, un ictus, guardi che a me non interessa neppure di farla soffrire quella disgraziata, non è degna neanche di odio, basta che scompaia in tempi ragionevoli insomma!! Così certo nessuno può sospettare di me e io finalmente sarò libero e ricco: poi naturalmente questo è solo un acconto, l’altra metà, o se non basta, anche di più, la riceverà a operazione conclusa, io ho sempre investito bene i soldi di mia moglie!” .

Lo scadere del tono, sia nel rivolgersi a me che nell’esprimersi, mi pare più che evidente, capisco che per evitare grane è meglio stringere i tempi e gli rispondo decisa.

“Guardi, a me queste cose non interessano, io penso che lei sia in errore, se vuole possiamo vedere di esaminare bene tutto quanto: probabilmente lei sbaglia  nel giudicare così sua moglie e nell’arrogarsi il diritto di ammazzarla. E sbaglia pure nel pensare che io…”.  Immediatamente egli innalza un’invisibile barriera e, col tono di un commerciante che tratta un affare, mi interrompe.

“Signora, evidentemente ho avuto l’informazione sbagliata, abbiamo perso tempo in due, le pago il suo consulto ed  amici come prima”.

Intanto che sta riallineando i soldi nella valigetta vorrei tentare di dissuaderlo a proseguire nella sua folle intenzione, ma egli si è trincerato dietro una maschera impenetrabile. Pone 50 euro sul tavolo, rifiuta con un ampio gesto della mano sia il mio tentativo di restituirglieli, sia quello di compilare la ricevuta fiscale. Si alza, cortesemente aspetta che io lo preceda verso la porta, esce sul pianerottolo, si gira, accenna come aveva fatto all’inizio ad un fugace e leggerissimo inchino, e se ne va. Non l’ho mai più rivisto.